mercoledì 9 dicembre 2020

Leucemia nelle ossa millenarie ritrovate in un sito archeologico: la scoperta grazie alla collaborazione con l’Anatomia Patologica del Papardo

 



Una importante collaborazione tra l’Azienda Ospedaliera Papardo e l’Università del Salento ha permesso di risalire alla possibile causa della morte di un individuo di più di 1500 anni fa. Nell’ambito dell’attività di ricerca archeologica svolta dall’Università del Salento presso il cimitero tardo antico di Vaste, frazione di Poggiardo (LE), sotto la direzione scientifica del Prof. Giovanni Mastronuzzi, è stata fatta un’interessante scoperta paleopatologica. Il sito archeologico, che comprende una chiesa e un vasto cimitero databile tra il IV e il VI sec. d.C., ha restituito numerosi materiali archeologici di pregio e i resti umani di circa 400 scheletri. 


La Dott.ssa Giorgia Tulumello dell’Università del Salento, osteoarcheologa messinese, è stata incaricata di effettuare l’analisi antropologica dei resti scheletrici rinvenuti nell’area cimiteriale. I dati raccolti mostrerebbero una popolazione composta da numerosi adulti e bambini, longeva ed in buono stato di salute, come testimoniato dalla scarsa presenza di indicatori di stress scheletrici e dentari. 


Le analisi antropologiche dello scheletro sono state condotte in collaborazione con la Dott.ssa Giulia Riccomi, osteoarcheologa della divisione di Paleopatologia dell'Università di Pisa. Lo studio ha permesso di individuare le tracce paleopatologiche visibili su un individuo recuperato e, ad uno studio approfondito, è stato possibile identificare i segni di una neoplasia maligna, riferibile probabilmente ad una forma di leucemia.


Lo scheletro, che appartiene ad un maschio adulto di circa 40-50 anni, presentava numerose piccolissime aree di lesioni puramente osteolitiche sulla superficie ossea (c. 1-3 mm) diffuse principalmente presso vertebre, coste, cinto scapolare ed zona metafisaria delle ossa lunghe. 


La possibile diagnosi di leucemia, piuttosto difficile nei resti scheletrici, è stata effettuata macroscopicamente. L'analisi istologica del tessuto osseo effettuata della dott.ssa Marisa Falduto, Anatomopatologa della UOSD di Anatomia Patologica dell'Ospedale Papardo di Messina (dipartimento di Oncoematologia), nonché competente conoscitrice dell'emolinfopatologia, coadiuvata nella parte tecnica dalla dott.ssa Ivana G. Verboso è stata di grande importanza per aiutare nella diagnosi. Tale studio, infatti, è stato decisivo per chiarire l'origine patologica delle microscopiche erosioni, ed escludere quindi che fossero causate da agenti post-deposizionali. 


Inoltre, l'analisi al microscopio elettronico (SEM), effettuato dalla Prof. Alessandra Genga e dalla Dott.ssa Tiziana Siciliano dell'Università del Salento, ha costituito un contributo prezioso per la diagnosi effettuata in team.


Il possibile caso di leucemia di Vaste si è rivelato essere una delle più antiche evidenze in Italia. Infatti, mentre sono noti casi osteoarcheologici di leucemia infantile, ad oggi i casi di questa patologia nei resti ossei di soggetti adulti risultano essere piuttosto rari. Lo studio, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale “The Lancet Oncology” di dicembre fornisce importanti nuovi dati sulla storia delle neoplasie nei tempi antichi, dimostrando altresì come il lavoro congiunto e coordinato di tre enti universitari possa dare ottimi risultati scientifici.

 

“Sono molto felice di avere partecipato ad uno studio così interessante ed affascinante - ha dichiarato la dott.ssa Falduto - condotto in assoluta sinergia con l'università del Salento e di Pisa, basato sulla collaborazione tra esponenti di ambiti scientifici certamente diversi ma solo apparentemente lontani. Mi auguro che l'interesse che ci ha accomunati possa far sì che possiamo ritrovarci per altre stimolanti ricerche.”


“È fondamentale l’approccio della ricerca in senso multidimensionale per spingere oltre la nostra ricerca della verità - commenta il Direttore Generale dell’A.O. Papardo - e in tal senso la nostra unità di Anatomia Patologica vanta professionisti in grado di dare contributi importanti come questo che ci rendono molto fieri del nostro organico.”

giovedì 3 dicembre 2020

L'attività del Papardo nella lotta al tumore al polmone: 340 casi solo a Messina



Ogni anno, in Sicilia, si registrano più di 3.000 nuovi casi di tumore del polmone (2.100 uomini e 950 donne), circa 340 a Messina (258 uomini e 84 donne). All’Ospedale Papardo, che si trova nell’area nord della città metropolitana, la pandemia non ha fermato la continuità assistenziale dei pazienti colpiti da questa neoplasia.

«Dall’inizio della pandemia c’è stato un incremento del numero di malati provenienti da centri al di fuori dell’area metropolitana di Messina, probabilmente perché altre strutture hanno interrotto alcune prestazioni a causa del Covid-19- afferma il Prof. Vincenzo Adamo (nella foto), Direttore Oncologia Medica del Papardo e Ordinario di Oncologia Medica all’Università di Messina- Trattiamo ogni anno circa 200 pazienti con tumore del polmone e il 20% proviene da fuori provincia. Durante la pandemia, non abbiamo mai interrotto l’attività dei gruppi oncologici multidisciplinari, incluso quello dedicato al polmone, che si riuniscono settimanalmente. I pazienti in trattamento attivo necessitano di cure indifferibili. Per questo, abbiamo realizzato un percorso virtuoso che consente alle persone colpite da neoplasia di proseguire i programmi diagnostico-terapeutici in piena sicurezza».

Da marzo, fuori dal Day Hospital oncologico dell’Ospedale Papardo, è stata allestita una tenda dove i pazienti vengono sottoposti al triage, che verifica l’assenza dei sintomi dovuti al Covid (tosse e febbre) prima di accedere agli ambulatori.

«Negli ambulatori del nostro day hospital, con regolarità e nel pieno rispetto delle norme previste,sono proseguite le prime visite e tutti i trattamenti di pazienti con malattia localmente avanzata o metastatica- spiega il Prof. Adamo Anche l’attività chirurgica non ha subito interruzioni. Sappiamo infatti che i ritardi nelle cure possono peggiorare la prognosi, con un incremento della mortalità. Per garantire percorsi ancora più sicuri, abbiamo deciso di mantenere nel reparto di degenza un solo posto letto in ogni stanza anziché due. Quindi sono disponibili otto stanze, ognuna con un solo paziente».

«La radioterapia è una componente decisiva nell’ambito di una cura oncologica di alta qualità: si stima che circa il 50% dei pazienti affetti da neoplasia abbia necessità del trattamento radiante o per l’eradicazione locale di malattia o per migliorare la qualità di vita attraverso il controllo di sintomi- sottolinea la dott.ssa Anna Santacaterina, Direttore Radioterapia Azienda Ospedaliera Papardo di Messina- Il percorso terapeutico del paziente con carcinoma polmonare deve essere sempre coordinato da un gruppo multidisciplinare di esperti composto da oncologo, chirurgo e radioterapista oncologo per valutare, caso per caso, il miglior approccio terapeutico».

L’85% delle diagnosi di tumore del polmone riguarda la forma non a piccole cellule, la più frequente.

«Per ognuno dei quattro stadi del carcinoma polmonare non a piccole cellule è previsto un trattamento specifico, pertanto è fondamentale una corretta stadiazione- afferma il Prof. Giuseppe Casablanca, Direttore Chirurgia Toracica del Papardo- La chirurgia radicale è un’opzione praticabile solo negli stadi iniziali (I e II). Nello stadio IIIA, l’intervento chirurgico è possibile in alcuni casi, grazie anche alla chemioterapia neoadiuvante che consente di ridurre le dimensioni del tumore prima dell’operazione. Negli stadi IIIB e IIIC, l’intervento chirurgico radicale è raramente perseguibile e il trattamento di scelta nella maggior parte dei pazienti è rappresentato dalla combinazione di radioterapia e chemioterapia».

«Le nuove tecniche di chirurgia mini-invasiva videoassistita- spiega il Prof. Casablanca- adesso praticate routinariamente anche al Papardo, consentono interventi di resezione polmonare maggiore attraverso piccole incisioni della parete toracica. Tale approccio, pur rispettando i principi di radicalità oncologica e garantendo l’estesa linfadenectomia, ha un impatto sia sotto il profilo del dolore postoperatorio che sul rapido ripristino dei parametri funzionali cardiorespiratori. Ciò conduce alla riduzione sensibile dei tempi di degenza ed all’allargamento dei criteri di operabilità. Inoltre, il reparto di Chirurgia Toracica dispone, oltre che della ecovideobroncoscopia o EBUS, di uno strumento innovativo, il Navigatore Magnetico Polmonare, che permette la Electromagnetic Navigation Bronchoscopy (ENB), la più avanzata tecnologia nel campo diagnostico del cancro periferico del polmone, con cui è possibile effettuare prelievi anche di lesioni di pochi millimetri».

«Un terzo dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule riceve una diagnosi di malattia in stadio III. «Ad oggi- continua la dott.ssa Santacaterina- le tre grandi categorie di terapie per il tumore al polmone localmente avanzato sono la chemioterapia seguita dalla chirurgia, la radioterapia associata alla chemioterapia (il cosiddetto trattamento di radio-chemioterapia concomitante) e la chemioterapia seguita dalla radioterapia, denominato anche trattamento di chemio-radioterapia sequenziale. Il miglior trattamento è stabilito dal gruppo multidisciplinare».

«Nello stadio III, oggi l’immunoterapia può aumentare la percentuale di pazienti liberi da malattia – conclude il Prof. Adamo- I farmaci immuno-oncologici, utilizzati in aggiunta ai trattamenti disponibili come la chemio-radioterapia standard, permettono infatti di raggiungere un importante controllo della malattia. Il percorso terapeutico di questi pazienti prevede numerose visite al centro specializzato, prima per i cicli di chemio-radioterapia poi per l’immunoterapia di mantenimento. Anche durante la pandemia abbiamo garantito la continuità di cura a tutti i malati afferenti al nostro centro. Nei pazienti già sottoposti a chemioterapia e radioterapia, in passato il trattamento si riteneva concluso ed erano possibili solo un monitoraggio e una valutazione ogni 3-4 mesi, per verificare lo stato della malattia ed eventuali sviluppi o recidive. I trattamenti immuno-oncologici di mantenimento, come durvalumab, si inseriscono proprio in questo arco di tempo, riducendo le recidive e aumentando il numero di pazienti in cui la malattia non ricompare o non avanza».